L’agricoltura peggiora l’aria in città: il nuovo studio sulla Lombardia
L’agricoltura peggiora l’inquinamento dell’aria, anche in città. Quanto emerge da un nuovo studio del Politecnico di Milano, secondo cui la metà delle polveri sottili che influenzano la già critica qualità dell’aria su città come Milano, ha origine nelle campagne circostanti.
Già precedenti ricerche hanno mostrato come le coltivazioni contribuiscano ad aumentare le concentrazioni di inquinanti presenti nell’aria, come ed esempio dell’ammoniaca, ampiamente diffusa nelle aree agricole.
Oggi, la nuova ricerca del Politecnico di Milano, pubblicata sulla rivista scientifica Chemosphere, quantifica l’impatto dell’agricoltura sulla particolato fine (PM2.5) presente nell’aria della Lombardia, sostenendo che il suo impatto è paragonabile a quello di altre fonti di inquinamento ben note, come l’urbanizzazione, l’industria e il trasporto.
La ricerca con i dati satellitari
Questi risultati sono stati ottenuti grazie all’utilizzo di un framework innovativo e un modello basato sui dati che include la valutazione dell’impatto dei diversi utilizzi del suolo e la distribuzione spaziale della concentrazione di PM2.5, con una precisione maggiore rispetto ai modelli preesistenti.
A questo scopo, sono stati utilizzati dati di osservazione della Terra dai satelliti e modelli atmosferici del programma Copernicus per ottenere la concentrazione di PM2.5, mentre le informazioni sull’uso del suolo sono state ottenute dal database open access e dal sistema informativo agricolo della Regione Lombardia.
Per l’analisi è stato utilizzato un sistema di GEOAI (Geomatica e Intelligenza Artificiale per l’Osservazione della Terra), composto da una struttura a tre fasi, che consente ai ricercatori di misurare e interpretare con precisione le dinamiche spaziali a livello locale e confrontare gli effetti dei diversi utilizzi del suolo sull’inquinamento. Grazie a questo nuovo approccio, fanno sapere i ricercatori, sarà possibile identificare con precisione la concentrazione di inquinanti dovuta a specifiche attività agricole, come la concimazione e gli spandimenti di liquami.
I risultati della ricerca
Secondo quanto rilevato nello studio, l’agricoltura peggiora la qualità dell’aria non solo nelle zone rurali ma anche nelle zone più densamente popolate. In particolare, il contributo dell’agricoltura risulta correlato a picchi di inquinamento piuttosto, che a un aumento graduale, con una durata però limitata nel tempo. Inoltre tra le coltivazioni analizzate, si è notato che i campi di riso hanno un impatto minimo mentre quelli di mais e cereali contribuiscono in modo più significativo all’inquinamento dell’aria.
Tuttavia, come evidenziato anche nel recente studio e precedentemente da Greenpeace, le elevate concentrazioni di polveri sottili nell’aria sono il risultato di un “cocktail” di inquinanti provenienti da diverse fonti, tra cui il riscaldamento domestico e commerciale, gli allevamenti, i trasporti, le emissioni industriali.
Non solo, nel caso della Pianura Padana a gravare sulla scarsa qualità dell’aria contribuiscono le caratteristiche geografiche e i fenomeni metereologici correlati, come l’inversione termica.
“Il comparto agricolo non va colpevolizzato”
Anche Guido Lanzani, responsabile della qualità dell’aria per Arpa Lombardia, conferma che “il principale problema legato al settore agricolo è rappresentato dall’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di ammoniaca. Nell’area padana, l’agricoltura rappresenta la principale fonte di emissioni di ammoniaca, contribuendo fino al 97% del totale”. Tuttavia, come aggiunge Lanzani per Lumsanews “Il comparto agricolo non va colpevolizzato o criminalizzato perché è parte di un problema più ampio”.
Tuttavia, come ricordato ancora dal responsabile Arpa e più volte ribadito anche da associazioni di lavoratori del settore come Coldiretti, la riduzione delle emissioni va perseguita “tenendo in considerazione le esigenze del mondo agricolo”.
Politiche green: gli agricoltori si oppongono ma il problema è altrove
Se gli agricoltori si dicono pronti all’innovazione tecnologica, le recenti proteste che in tutta Europa hanno visto al centro (anche) le misure contenute nel Green Deal europeo, la PAC (Politica agricola comune) e il Sur (Regolamento sull’uso sostenibile), confermano una strada verso la transizione green ancora tutta in salita per l’Italia e l’UE.
Ad oggi, nonostante lo stop alla proposta sulla riduzione dei pesticidi del 50% e il depotenziamento di molteplici altre politiche green, la crisi del settore persiste. Gli ultimi dati mostrano l’agricoltura italiana schiacciata dalla competizione sleale, con l’import in costante crescita e materie prime pagate agli agricoltori cifre al di sotto dei costi di produzione.
Come ribadiscono ormai da mesi associazioni ambientaliste, ONG e sempre più agricoltori, è ormai chiaro che la crisi agricola non risiede nelle misure green ma in un sistema che “premia le multinazionali” e di “sussidi, regole e mercato tutti orientati a beneficio degli attori più grandi”, come sintetizza L’Espresso.
Oggi gli agricoltori denunciano con sempre più voce il controllo sul prezzo esercitato dalla grande distribuzione e delle grandi aziende alimentari, che costringe i più piccoli ad uscire dal mercato.
Accanto a questo, la crisi climatica e gli eventi estremi sempre più intensi compromettono le colture e mettono a rischio le aziende agricole, a partire da quelle più piccole che oggi richiedono, giustamente, di rivedere la distruzione dei sostegni economici come quelli previsti nel PAC.
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