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Aumentano i rifugiati climatici, ma i loro diritti non sono tutelati

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Aumentano i rifugiati climatici, ma i loro diritti non sono tutelati

Con l’aggravarsi dei cambiamenti climatici, nasce il fenomeno dei “rifugiati climatici”: milioni di persone che vengono costrette a migrare a causa di disastri naturali, siccità e innalzamento del livello del mare. Secondo il report dell’ Internat Displacement Monitoring Centre (IDMC), al 31 dicembre 2023, almeno 7,7 milioni di persone in 82 Paesi e territori vivevano in condizioni di sfollamento interno a causa di disastri avvenuti non solo nel 2023, ma anche negli anni precedenti. Questi migranti non godono però di alcuna protezione formale nel diritto internazionale. Caitlan M. Sussman, avvocata e ricercatrice legale, analizza questo vuoto normativo e propone soluzioni urgenti per colmare una delle maggiori sfide umanitarie del nostro tempo.

Chi sono i rifugiati climatici e perché sono esclusi?

La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce rifugiati solo coloro che fuggono da persecuzioni basate su motivi come razza, religione o appartenenza politica. I rifugiati climatici, invece, non rientrano in questa definizione poiché il cambiamento climatico non è considerato una forma di persecuzione. Sussman sottolinea che la migrazione indotta dal clima spesso avviene all’interno dei confini nazionali (migrazione interna), un fenomeno non previsto dalla Convenzione.



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Accordi internazionali non vincolanti: un passo insufficiente

Recenti accordi internazionali come il Global Compact for Migration riconoscono la correlazione tra cambiamento climatico e migrazione, ma non sono giuridicamente vincolanti. Questo significa che i paesi non sono obbligati a rispettare questi impegni, lasciando i rifugiati climatici senza tutele concrete. Sussman evidenzia la necessità di modificare la Convenzione di Ginevra per includere i rifugiati climatici, estendendo i diritti e le responsabilità degli Stati verso questa nuova categoria.

Modelli regionali e il potenziale ampliamento

Alcuni accordi regionali, come la Dichiarazione di Cartagena in America Latina e la Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OAU), offrono spunti utili per estendere la protezione ai rifugiati climatici. Questi accordi definiscono rifugiati coloro che fuggono da violenze generalizzate o disordini pubblici, una definizione che potrebbe facilmente includere chi è costretto a lasciare la propria casa per disastri ambientali. Sussman propone che una simile estensione potrebbe essere applicata su scala globale, attraverso un emendamento alla Convenzione del 1951.

L’importanza di un quadro legale vincolante

Sussman ritiene che per proteggere i rifugiati climatici sia cruciale integrare elementi di diritto ambientale e dei diritti umani nel diritto sui rifugiati. Attualmente, le leggi ambientali e sui diritti umani riconoscono solo parzialmente la responsabilità degli Stati nei confronti delle persone sfollate a causa del clima. Senza un quadro vincolante, milioni di persone rischiano di rimanere intrappolate in zone pericolose, senza alcuna possibilità di protezione internazionale.

Soluzioni temporanee: visti umanitari climatici

Come misura intermedia, Sussman propone soluzioni nazionali come i visti umanitari climatici, già sperimentati in paesi come la Nuova Zelanda. Questi programmi consentono a chi è più vulnerabile di richiedere protezione temporanea in un paese ospitante. Tuttavia, come osserva Sussman, queste misure temporanee non possono sostituire un approccio globale e sistemico.

Il futuro dei rifugiati climatici: un’azione urgente

Se non si interviene rapidamente, i cambiamenti climatici forzeranno milioni di persone a migrare senza alcuna tutela giuridica. Sussman conclude che, per prevenire una crisi umanitaria di massa, è necessario un impegno collettivo e coordinato a livello internazionale, coinvolgendo governi, ONG e comunità locali.

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