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Il caldo estremo causa 22,85 milioni di infortuni sul lavoro nel mondo

Il caldo estremo causa 22,85 milioni di infortuni sul lavoro nel mondo

Lavorare sotto al sole cocente è difficile ed anche rischioso. Ma come stabilire quando è “troppo caldo per lavorare”? In Italia e nel mondo mancano ancora leggi o normative univoche adattate agli impatti della nuova crisi climatica che stabiliscano parametri in grado di mettere dei paletti all’attività lavorativa all’aperto.  

Troppo caldo per il lavoro all’aperto: le ordinanze regionali

A livello globale nuovi report ci avvertono della pericolosità di lavorare in condizioni di caldo torrido ma non ci sono leggi relative agli impatti delle temperature massime con cui facciamo i conti a causa del riscaldamento globale.

Spesso ci si orienta attraverso ordinanze territoriali: in questa estate rovente in cui in tante città italiane si sono sfiorati i 40 gradi, 14 regioni italiane hanno imposto la pausa obbligatoria durante le ore centrali della giornata per alcune categorie professionali, in caso di caldo estremo e temperature troppe elevate. Si tratta di provvedimenti che riguardano i settori agricolo e florovivaistico e i cantieri edili e affini che svolgono attività classificabili come “fisica intensa”. E si applicano anche alle altre attività comparabili che si trovano in condizioni di prolungata esposizione diretta ai raggi solari in giornate particolarmente calde.

Nello specifico, Lazio, Toscana, Molise, Abruzzo, Campania, Sicilia, Sardegna e Umbria si sono mosse in anticipo con ordinanze (molte fino al 31 agosto) per vietare l’impiego di lavoratori a rischio stress termico nelle ore più calde, dalle 12:30 alle 16. L’Emilia-Romagna ed il Piemonte si sono adeguate, di recente, con decisioni simili.



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Stress termico, il report: il caldo estremo causa 22,85 milioni di infortuni sul lavoro

Lo stress termico è un killer invisibile che uccide. Ciò può avvenire nell’immediato o sul lungo termine, causando malattie croniche gravi, problemi al sistema circolatorio o respiratorio. La causa è l’esposizione dei lavoratori a temperature estreme.

Secondo questo recente rapporto  da poco pubblicato dall’International Labour Organization (ILO), il numero di lavoratori esposti allo stress termico con conseguenti possibili rischi per la salute cresce vertiginosamente. La stessa ILO, già ad aprile, su 21 Paesi analizzati metteva in risalto come la crisi climatica porti a un mix di rischi che impattano sulla salute di 2,4 miliardi di lavoratori nel mondo e che il caldo estremo da solo causi 22,85 milioni di infortuni sul lavoro.

Antonio Guterres, segretario generale Onu, ha rimarcato “la necessità di affrontare la sfida dell’aumento delle temperature e garantire alle lavoratrici e ai lavoratori una protezione fondata sui diritti umani che sia più forte ed efficace“.

Cosa fanno gli altri Paesi europei?

In Europa, le ondate di calore si fanno sempre più lunghe ed intense. Ciononostante, non c’è uniformità nelle scelte caldo-lavoro. In Gran Bretagna, lo scorso anno, si era parlato di una norma in grado di proteggere i lavoratori dall’obbligo di produrre sotto temperature ardenti. Una legge che ancora non esiste: ci sono solo vecchi regolamenti che indicano l’obbligo di posti di lavoro confortevoli e sicuri, con limiti per le temperature minime ma non massime.

Anche in Francia non c’è una temperatura massima che stabilisca quando non lavorare, ma viene richiesto ai datori di lavoro di garantire “condizioni di sicurezza” per i dipendenti. Ai lavoratori edili devono essere garantiti 3 litri d’acqua al giorno e la possibilità di interrompere il proprio lavoro se temono per la propria salute. In Portogallo sul posto di lavoro la temperatura va compresa fra i 18 e i 22 gradi, in determinati casi anche 25. In Germania c’è il limite dei 26 gradi, ma non è sancito dalla legge: sono i datori di lavoro a dover garantire la sicurezza per i dipendenti. La Spagna, invece, è più netta: per lavorare in ufficio è richiesta una temperatura tra i 17 e i 27 gradi.

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