PFAS: contaminazione anche in Toscana, ma è emergenza nazionale
Dopo Veneto, Lombardia e Piemonte, una nuova indagine rivela una diffusa contaminazione da PFAS anche nelle acque della Toscana.
La nuova indagine di Greenpeace pubblicata in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua (celebrata il 22 marzo), mostra “numerose criticità che confermano un’emergenza nazionale fuori controllo”.
“Il quadro di contaminazione che emerge dalle nostre analisi è tutt’altro che rassicurante. Alcuni casi sono ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai affrontato seriamente il problema: manca infatti un provvedimento sugli scarichi industriali”, ha commentato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
“Per quanto tempo ancora il nostro governo continuerà a ignorare il problema condannando interi territori a subire gli effetti dell’inquinamento?”, denuncia ancora l’associazione ambientalista in una nota.
Per Greenpeace, “la Regione deve individuare tutte le fonti inquinanti di PFAS e attivare le ASL per avviare al più presto indagini sulle acque potabili, soprattutto nelle aree in cui si registrano elevati livelli di contaminazione”.
Contaminazioni: quanto si sa, quanto si fa
In Italia, come nel resto d’Europa ma non solo, si conferma l’emergenza ambientale legata alla contaminazione da PFAS, composti poli e perfluoroalchilici pericolosi per la salute umana, sempre più rilevati in acque, suolo e cibo.
Dopo la recente indagine che rivela la loro presenza nell’acqua potabile di oltre 70 comuni piemontesi, il nuovo studio condotto da Greenpeace Italia mostra una preoccupante concentrazione dei “forever chemicals” anche nelle acque dei fiumi toscani. Secondo i rilevamenti indipendenti eseguiti nel mese di gennaio, anche il distretto cartario lucchese contribuisce all’inquinamento da PFAS, interessando diversi corsi d’acqua.
“Una scoperta che non dovrebbe sorprendere”, spiega tuttavia l’associazione, visto che l’ampia diffusione dell’uso di queste sostanze nell’industria della carta è ben nota, anche se “la questione non era mai stata approfonditamente indagata dagli organismi toscani preposti alla tutela dell’ambiente”.
Le acque più contaminate da PFAS in Toscana
Come si apprende dal rapporto, la maggior parte dei campionamenti è stata prelevata dai fiumi, sia a monte che a valle degli impianti di depurazione industriale. Questi provengono dal distretto cartario Torrente Pescia e Aquapur, dai depuratori del distretto conciario (depuratore Aquarno) e del cuoio (depuratore Cuoio-Depur, che rilascia nell’acqua del Rio Malucco), dai fiumi Ombrone, Bisenzio e Fosso Calicino (dove ci sono le industrie tessili) e del torrente Brana (dove si trovano le serre).
Tra questi, la contaminazione più alta di PFAS è stata rilevata nel Rio Malucco, nel Fosso Calicino, nell’Ombrone e nel Rio Frizzone a Porcari, a valle del depuratore Aquapur.
In particolare, nel fiume Ombrone, la quantità di PFAS a valle delle fabbriche tessili era circa venti volte più alta rispetto a monte, mentre nel Rio Frizzone, a valle del depuratore, la presenza delle sostanze pericolose era circa nove volte superiore rispetto alla parte superiore del fiume.
Oltre ad individuare alcune delle sostanze PFAS più utilizzate, gli esami di laboratorio hanno permesso di calcolare anche la presenza totale di queste, individuandone più di 10mila diverse.
Attraverso l’analisi totale di fluoro organico assorbibile (AOF), lo studio ha rilevato inoltre che le contaminazioni più preoccupanti sono a valle di uno dei depuratori del distretto tessile a Prato, quello di Calice (4.800 nanogrammi/litro), seguito dal canale Usciana a valle del depuratore Aquarno (4.500 nanogrammi/litro) e nel Rio Frizzone a valle del depuratore Aquapur (3.900 nanogrammi/litro) a Porcari.
Per contrastare la contaminazione da PFAS non solo in Toscana ma ormai “diffusa e fuori controllo” su scala nazionale, “serve subito una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione di queste pericolose molecole, non c’è più tempo da perdere”, ribadiscono da Greenpeace.
Gli esposti contro la contaminazione da PFAS nelle acque potabili
Proseguendo la battaglia contro l’inquinamento ambientale, Greenpeace ha presentato di recente quattro esposti presso le procure piemontesi, tra cui quelle di Torino, Ivrea, Alessandria e Novara, invitando i giudici a valutare l’ipotesi di disastro ambientale.
L’iniziativa è partita a seguito della contaminazione da PFAS riscontrata grazie ai dati forniti a Greenpeace dalla Smat. In particolare le comunità coinvolte (nella zona di Valsusa, oltre ad altre aree tra Torinese, Canavese e Pinerolese) si trovano ad affrontare la presenza di PFOA, un PFAS noto per le sue potenziali implicazioni cancerogene, denuncia l’associazione.
Secondo quanto racconta ancora Greenpeace, alle richieste di accesso ai dati sulla presenza di PFAS nelle acque, le istituzioni hanno risposto di non essere in possesso delle informazioni richieste.
E quindi, hanno concluso gli ambientalisti, “o la regione, non sa cosa fanno arpa e asl, oppure viola le normative previste per sull’accesso agli atti, che consentirebbero la visione dei dati”. Qualunque sia l’ipotesi, ha dichiarato Ungherese, “sarebbe comunque un fatto gravissimo: stiamo parlando di un problema molto serio. Fino a bassissima concentrazione. Servono azioni rigorose”.
Come ricordano dall’associazione, infatti, nonostante le normative italiane prevedano un limite di concentrazione di PFAS nell’acqua, questo rimane significativamente più alto rispetto a quanto raccomandato dalla comunità scientifica.
In Danimarca il limite è già fissato a 2 nanogrammi per litro, mentre in Italia sarà di 100 nanogrammi per litro solo a partire dal 2026, denuncia infine Greenpeace ribadendo l’urgente necessità di adottare misure più rigorose per proteggere la salute pubblica e l’ambiente.
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