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L’Ue pronta a spegnere l’Ilva. Stavolta davvero

Ilva Corte Giustizia UE

L’Ue pronta a spegnere l’Ilva. Stavolta davvero

di Cristina Saja

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è pronta a emanare un’ordinanza che potrebbe portare alla sospensione delle attività dell’Ilva, l’importante complesso siderurgico situato a Taranto.

La decisione nasce dalla necessità di tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini, ponendo un freno alle operazioni della fabbrica che da anni è al centro di controversie per l’inquinamento atmosferico e le sue ricadute sulla popolazione locale.

L’intervento della Corte UE si fonda sulla convinzione che l’esercizio dello stabilimento non possa continuare a scapito della qualità dell’ambiente e della salute pubblica.



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La Corte di Giustizia UE ritiene ambiente e salute prioritari rispetto la produzione

Questa misura rappresenta un segnale forte e chiaro verso la priorità dei valori ambientali e sanitari rispetto alle attività industriali, evidenziando l’impegno dell’Unione Europea nel garantire la protezione del benessere collettivo e del territorio. La sospensione potrebbe segnare una svolta storica per Taranto, una città che da anni combatte con le conseguenze dell’inquinamento industriale e che potrebbe finalmente vedere riconosciuto il diritto a un ambiente più salubre. Tuttavia, l’impatto economico di una tale decisione è significativo, considerando l’importanza dell’Ilva per l’economia locale e nazionale. Resta da vedere come le autorità italiane e le parti interessate affronteranno questa delicata situazione.

Le questioni pregiudiziali

La prima questione posta dal giudice del rinvio riguarda l’interpretazione della direttiva 2010/75 alla luce dell’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). In particolare, il giudice chiede se tale direttiva imponga agli Stati membri di effettuare una valutazione preliminare degli impatti ambientali e sulla salute umana prima di concedere o rivedere un’autorizzazione per un impianto industriale.

La Corte sottolinea che la direttiva 2010/75, basata sull’articolo 192 TFUE, mira a prevenire e ridurre l’inquinamento proveniente dalle attività industriali, garantendo un elevato livello di protezione ambientale e della salute umana.

La direttiva richiede che le autorizzazioni per gli impianti industriali includano misure per prevenire e ridurre le emissioni inquinanti, e che tali autorizzazioni non possano essere rilasciate senza una valutazione degli impatti ambientali e sulla salute. In base all’articolo 12 della direttiva, le domande di autorizzazione devono includere informazioni dettagliate sulle emissioni previste e sui loro potenziali effetti sull’ambiente.

La direttiva

La direttiva richiede inoltre che l’autorizzazione venga riesaminata quando le emissioni potrebbero rappresentare un pericolo significativo per la salute o l’ambiente. La Corte puntualizza, inoltre, che una valutazione preventiva degli impatti ambientali e sulla salute umana deve essere parte integrante dei procedimenti di rilascio e riesame delle autorizzazioni per gli impianti industriali.

Questo implica che gli Stati membri devono considerare tali valutazioni come una condizione necessaria per il rilascio o la revisione delle autorizzazioni. Inoltre, la direttiva richiede che queste valutazioni siano tempestive ed efficaci, e non solo facoltative o riservate alle situazioni più gravi.

Quindi, la direttiva 2010/75, letta alla luce dell’articolo 191 TFUE e degli articoli 35 e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, obbliga gli Stati membri a prevedere una valutazione preliminare degli impatti ambientali e sulla salute umana.

Deve farlo come parte essenziale dei procedimenti di rilascio e riesame delle autorizzazioni per gli impianti industriali.

Gli studi sulle emissioni diventano decisivi

E la seconda questione pregiudiziale? La Corte di Giustizia è stata chiamata a interpretare se, per il rilascio o il riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione industriale secondo la Direttiva 2010/75, le autorità competenti devono considerare non solo le sostanze inquinanti prevedibili in base alla natura dell’attività.

Ma anche tutte le altre sostanze inquinanti scientificamente note come nocive, anche se non valutate nel processo di autorizzazione iniziale.

Le sostanze inquinanti

Si fa, quindi, riferimento all’installazione e l’inquinamento, dove studi hanno rilevato che le emissioni di polveri sottili (PM2,5 e PM10), rame, mercurio e naftalene non erano state adeguatamente considerate nelle autorizzazioni ambientali del 2011 e 2012.

E poi alle normative specifiche che avrebbero permesso all’Ilva di ottenere e rinnovare l’autorizzazione senza tener conto di alcune sostanze inquinanti che non erano state incluse nelle autorizzazioni iniziali, come le polveri sottili. E ancora, a tutti gli obblighi delle autorità e dei gestori, comprese le condizioni di riesame dell’impianto.

Secondo la valutazione della Corte la Direttiva 2010/75 impone che, per il rilascio o il riesame di un’autorizzazione, le autorità considerino tutte le sostanze inquinanti nocive, anche quelle non previste inizialmente ma scientificamente riconosciute come dannose.

Questo approccio mira a garantire una protezione completa della salute umana e dell’ambiente, un aspetto che sembra essere stato trascurato nel caso dell’ILVA di Taranto.

L’Ilva e le violazioni

In terzo luogo, il giudice del rinvio chiede se la Direttiva 2010/75 osti a una legislazione nazionale che ripetutamente proroga i termini concessi al gestore di un’installazione industriale.

Questo, per adottare le misure di protezione ambientale e sanitaria previste dall’autorizzazione all’esercizio, nonostante siano stati identificati gravi pericoli per l’ambiente e la salute umana.

Le normative speciali applicate allo stabilimento Ilva hanno consentito numerose proroghe per l’adeguamento alle misure dell’autorizzazione integrata ambientale del 2011, senza effettivi riesami delle condizioni operative dell’impianto.

Un problema di emissioni

Secondo la Direttiva 2010/75, gli Stati membri devono applicare le disposizioni per le installazioni esistenti entro termini specifici. Tuttavia, nel caso dello stabilimento Ilva, ci sono state estensioni oltre i termini stabiliti, nonostante l’identificazione di gravi rischi per l’ambiente e la salute umana. La direttiva impone che in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione, il gestore deve agire immediatamente per ripristinare la conformità. In casi di pericoli immediati per la salute umana o l’ambiente, è richiesta la sospensione dell’attività dell’installazione.

Misure di protezione ambientale e sanitaria

Secondo l’interpretazione addotta alla normativa, la direttiva non supporta proroghe ripetute dei termini per l’adeguamento alle misure di protezione ambientale e sanitaria, specialmente se ci sono gravi pericoli identificati.

L’articolo 8, paragrafo 2, esige la sospensione dell’attività in casi di rischi significativi non mitigati. Pur concedendo un periodo di adeguamento alle installazioni esistenti, la direttiva implica che le proroghe non debbano protrarsi oltre il necessario per l’adeguamento tecnico.

Le proroghe

Spetta al giudice valutare se le proroghe concesse allo stabilimento Ilva siano state eccessive rispetto al periodo transitorio previsto dalla direttiva e se la sospensione dell’attività sarebbe stata necessaria dati i rischi identificati.

La Direttiva 2010/75 richiede che le misure di protezione ambientale e sanitaria siano attuate tempestivamente e senza proroghe ingiustificate. Soprattutto quando vi sono gravi rischi per l’ambiente e la salute umana.

Le proroghe ripetute, come nel caso dello stabilimento Ilva, possono essere contrarie alla direttiva se non supportate da una reale necessità di adeguamento tecnico. E se non mitigano efficacemente i rischi identificati.

Le conclusioni della Corte di Giustizia UE

La Corte di Giustizia ha emesso, quindi, le seguenti dichiarazioni in merito alla Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio:

1. Gli Stati membri sono obbligati a garantire che una valutazione preventiva degli impatti dell’attività di un’installazione industriale sull’ambiente e sulla salute umana sia integrata nei procedimenti di rilascio e riesame delle autorizzazioni per l’esercizio di tale installazione ai sensi della direttiva.

2. Per il rilascio o riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione ai sensi della direttiva, l’autorità competente deve considerare non solo le sostanze inquinanti prevedibili in base alla natura e alla tipologia dell’attività industriale.

Ma anche tutte le sostanze scientificamente note come nocive che possono essere emesse dall’installazione, anche se non valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale.

3. La direttiva si oppone a una legislazione nazionale che ripetutamente proroga i termini concessi al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione ambientale e sanitaria previste dall’autorizzazione. Questo, nonostante siano stati identificati gravi e rilevanti pericoli per l’ambiente e la salute umana. In caso di tali pericoli, l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva richiede la sospensione dell’esercizio dell’installazione.

Le misure

Queste conclusioni enfatizzano, a ragione, l’importanza della valutazione preventiva degli impatti ambientali e sanitari. Nonché la necessità di adottare misure efficaci e tempestive per mitigare i rischi identificati, conformemente agli standard europei di protezione ambientale e sanitaria.

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