Loading Now

La crisi climatica produce sfruttamento e schiavitù: il caso Tunisia

tunisia

La crisi climatica produce sfruttamento e schiavitù: il caso Tunisia

Di Cristina Saja

Era il 2021, quando Internazionale titolava un reportage: La Tunisia non è la discarica dell’Italia per descrivere i fatti dello scandalo rifiuti in Tunisia. È di ieri, invece, la notizia riportata dall’Ansa riguardante lo sfruttamento delle donne addette allo smaltimento rifiuti in Tunisia.

Il primo approfondimento ha raccontato come nel porto di Sousse, in Tunisia, sono rimasti bloccati per oltre otto mesi 212 container provenienti dall’Italia, contenenti rifiuti dichiarati come plastici ma in realtà comprendenti scarti domestici vari. Questo evento ha scatenato un grande scandalo ambientale, coinvolgendo figure politiche e imprenditoriali sia italiane che tunisine. I container sono stati inviati dalla Sviluppo Risorse Ambientali (SRA) italiana alla Soreplast tunisina, con un accordo per smaltire 120.000 tonnellate di rifiuti. Tuttavia, le autorità tunisine hanno scoperto la reale natura dei rifiuti, causando un blocco e un contenzioso legale, con una spesa di circa 26.000 euro al giorno per lo stoccaggio dei container.

L’accusa contro l’Italia

In quell’occasione, gli attivisti tunisini e la società civile hanno espresso forte indignazione, accusando l’Italia di trattare la Tunisia come una discarica. L’inchiesta ha portato all’arresto di vari funzionari, tra cui l’ex ministro dell’Ambiente tunisino. Si è inoltre scoperto che le autorizzazioni erano state ottenute tramite dichiarazioni false e che la Soreplast non possedeva le capacità tecniche per trattare tali rifiuti. La vicenda ha sollevato dubbi sulle pratiche di gestione dei rifiuti in Campania, che ha spesso esportato i propri rifiuti all’estero, contribuendo a un’industria multimilionaria di smaltimento.

La raccolta di rifiuti in Tunisia

La notizia di ieri, ci riporta in Tunisia per raccontare che le addette alla raccolta dei rifiuti in Tunisia affrontano numerose difficoltà e discriminazioni, come emarginazione e sfruttamento. Queste donne, spesso provenienti da contesti socio-economici svantaggiati, lavorano in condizioni precarie, con bassi salari e senza adeguate misure di sicurezza. Sono esposte a rischi per la salute e spesso non ricevono alcuna protezione sociale o diritti lavorativi. In molte occasioni, non godono di un riconoscimento adeguato del loro lavoro che è essenziale per la gestione dei rifiuti e la pulizia delle città. Nonostante le difficili condizioni, queste donne continuano a svolgere il loro lavoro con dedizione, contribuendo in modo significativo alla società e all’ambiente. Di conseguenza guadagnano meno degli uomini: dai 10 ai 25 dinari al giorno (da 3 a 7,6 euro), contro i 40 ai 70 dinari al giorno (da 12 a 21 euro) della categoria maschile.

L’approfondimento ha evidenziato la necessità di migliorare le condizioni di lavoro per queste lavoratrici, attraverso politiche più inclusive e il riconoscimento dei loro diritti. È fondamentale garantire loro accesso a salari equi, sicurezza sul lavoro e protezione sociale, oltre a promuovere una maggiore consapevolezza e rispetto per il loro ruolo nella società.

È necessario arginare la crisi climatica per migliorare la qualità di vita in tutti i sensi

La crisi climatica sta esacerbando le condizioni di vita in molte parti del mondo, e la Tunisia ne è uno degli esempi. Questo fenomeno è collegato allo sfruttamento e alla schiavitù moderna in vari modi, specialmente attraverso l’impatto economico e sociale che il cambiamento climatico ha su regioni e ceti sociali vulnerabili.



Ap-set-banner-Ambiente-in-Salute-728x90-1 La crisi climatica produce sfruttamento e schiavitù: il caso Tunisia
Ap-set-banner-Ambiente-in-Salute-240x400-2 La crisi climatica produce sfruttamento e schiavitù: il caso Tunisia

La Tunisia, come altre regioni del Nord Africa, sta sperimentando periodi di siccità sempre più frequenti e intensi. La scarsità d’acqua e le condizioni climatiche avverse compromettono la produzione agricola, che è una delle principali fonti di sostentamento per molte comunità locali. La diminuzione delle risorse porta a una competizione accresciuta per le poche opportunità di lavoro disponibili, rendendo i lavoratori più vulnerabili allo sfruttamento. Le condizioni di vita peggiorano nelle aree rurali a causa della crisi climatica, spingendo le persone a migrare verso le città o all’estero in cerca di lavoro. Questi migranti spesso finiscono in situazioni di lavoro precario, dove sono esposti a forme di sfruttamento, inclusa la schiavitù moderna. In Tunisia, le rotte migratorie verso l’Europa sono particolarmente pericolose e spesso controllate da reti di traffico di esseri umani. L’impatto del cambiamento climatico sull’agricoltura e altre attività economiche formali ha spinto molte persone verso l’economia informale, dove le tutele legali sono minime o inesistenti. Questo crea un terreno fertile per pratiche di sfruttamento, come il lavoro forzato e il lavoro minorile.

Rimediare a queste situazioni è cruciale non solo per motivi umanitari, ma anche per stabilizzare le comunità e prevenire conflitti futuri.

Affrontare la crisi climatica e le sue conseguenze come quelle che si stanno verificando in Tunisia richiede un approccio multidimensionale, che combini interventi locali e globali, mirando sia alla mitigazione degli effetti climatici sia alla protezione dei diritti umani.

Share this content: