PM2.5: nessuna soglia limite è “sicura”, due nuovi studi rivelano
Non esiste una soglia limite “sicura” di PM2.5: anche una minima esposizione all’inquinamento da particolato fine aumenta in modo significativo il rischio di malattie cardiovascolari. È quanto emerge da due ricerche statunitensi di recente pubblicate sul British Medical Journal.
Le due grandi indagini confermano che non esiste una quantità di concentrazioni di particolato fine (PM2.5) che non causi danni alla salute umana. Questo inquinante, emesso da auto, camion e industrie, ma anche dai crescenti incendi boschivi favoriti dal riscaldamento globale, provoca “danni diffusi” al cuore e ai polmoni anche quando presente nell’aria in piccole quantità.
Esposizione a valori di PM2.5 medi e il rischio di ricovero
In uno degli studi, un’analisi di 60 milioni di persone di 65 anni e più, tra il 2000 e il 2016, ha rilevato un aumento del rischio di ospedalizzazione per sette principali tipi di malattie cardiovascolari quando esposti ai livelli medi di PM2.5 riscontrati negli Stati Uniti.
Secondo quanto emerge dall’indagine di recente pubblicata, l’aumento del rischio è significativo: l’esposizione a livelli medi di inquinamento atmosferico negli Stati Uniti è associato ad un aumento di quasi un terzo (29%) del rischio di ricovero in ospedale, rispetto alla più bassa soglia limite indicata dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Valori OMS per il PM2.5: non sicuri
Tuttavia, anche la soglia limite raccomandata dall’OMS per il PM2.5 non è di per sé sicura, ha rivelato un secondo studio.
Come riporta anche The Guardian, una seconda indagine sempre pubblicata sul BMJ rivela “un aumento significativo delle visite ospedaliere per malattie cardiovascolari e malattie respiratorie, nonché visite di emergenza per problemi respiratori”, anche quando l’esposizione a breve termine al PM2.5 era inferiore al limite OMS.
Come racconta al giornale britannico Gregory Wellenius, scienziato ambientale presso la Boston University School of Public Health e co-autore del secondo studio, i ricercatori stanno osservando “una moltitudine di effetti causati da questo inquinamento, dalla bronchite cronica all’asma, che interessano le persone anche a concentrazioni molto basse”, riguardando “tutti, non solo i bambini e gli anziani. Ad ogni età”, come ha sottolineato Wellenius.
Nonostante i progressi compiuti negli anni per ridurre le concentrazioni di PM2.5, come degli altri inquinanti, presenti nell’aria, l’inquinamento risulta ancora troppo alto, causando ogni anno milioni di vittime e gravando pesantemente sui sistemi sanitari mondiali alle prese con la crescente diffusione di malattie croniche associate a questa esposizione.
Secondo una delle più recenti indagini, circa 5 milioni di persone all’anno, in tutto il mondo, muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico causato da combustibili fossili mentre l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, insieme, sono responsabili di una morte su sei a livello globale.
In America come nel Regno Unito e in Europa, i “governi non sono riusciti a tenere il passo con questa minaccia”, concludono quindi anche dal Guardian.
USA: è stretta (ma non abbastanza) su PM2.5
Questo mese, l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) ha rafforzato lo standard nazionale di qualità dell’aria per il PM2.5, abbassando le emissioni annue consentite da 12 a 9 microgrammi per metro cubo. Una misura definita dall’amministrazione di Joe Biden come “cruciale” e “che salverà migliaia di vite”, ma che come confermano gli autori dei nuovi studi, si rivela ancora insufficiente per proteggere la popolazione dai danni alla salute, rimanendo altresì superiore ai limiti OMS (pari a 5 mg/mc).
Il caso dei nuovi limiti sull’aria in Ue
Anche in altri paesi, come il Regno Unito, l’Italia e gran parte dell’Unione europea, i valori limite consentiti per il PM2.5 (e per gli altri inquinanti atmosferici) risultano distanti dai valori massimi raccomandati dall’OMS.
Con l’obiettivo di raggiungere quanto prima questi stringenti ma necessari limiti, l’Ue ha proposto una riduzione delle concentrazioni consentite per PM2.5, PM10 e biossido di azoto, oltre a misure volte a migliorare il monitoraggio e la prevenzione rispetto all’inquinamento atmosferico.
Queste nuove misure, contenute nella Direttiva europea sulla qualità dell’aria, rischiano tuttavia di essere ulteriormente indebolite, come è emerso di recente.
Mentre associazioni ambientaliste e cittadini continuano a ribadire la necessità di strategie più efficaci per ridurre l’inquinamento dell’aria, i governi europei sembrano infatti favorevoli a posticipare di 10 anni l’attuazione della nuova Direttiva, inizialmente programmata per il 2030, contribuendo così a mettere in serio pericolo la salute delle persone e alle migliaia di morti premature che ogni anno l’inquinamento dell’aria provoca ma che potrebbero essere evitate.
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