Ripensare l’azione climatica guardando ai diritti umani
La recente opinione consultiva storica del Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare (ITLOS) ha chiarito un punto cruciale: l’azione per il clima, anche se conforme all’Accordo di Parigi, non solleva gli Stati dagli obblighi derivanti da altri trattati internazionali. In altre parole, un’azione climatica considerata sufficiente per l’Accordo di Parigi potrebbe risultare inadeguata se, a causa della sua scarsa ambizione o inefficacia, mina gli obiettivi del diritto internazionale marittimo o dei diritti umani. A fare questa osservazione è Elisa Morgera, Relatrice Speciale ONU su Clima e Diritti Umani in un editoriale.
Impatti del cambiamento climatico sui diritti umani
Negli anni, vari organi e esperti delle Nazioni Unite hanno documentato gravi impatti negativi sui diritti umani causati dal cambiamento climatico. Questi impatti, spesso imprevisti al momento dell’adozione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), sono più diffusi e gravi di quanto ci si aspettasse al tempo dell’Accordo di Parigi.
Le popolazioni indigene, i piccoli pescatori, le persone di discendenza africana, le donne, i bambini, e molte altre comunità vulnerabili hanno subito violazioni del diritto alla vita, alla salute, al cibo, e a un ambiente sano. Questi effetti si sovrappongono ad altre crisi, come il traffico di esseri umani e la schiavitù moderna, aggravando la vulnerabilità di queste comunità.
Soluzioni climatiche che violano i diritti umani
Le azioni per il clima, pur avendo l’obiettivo di mitigare i danni, possono anche generare impatti negativi sui diritti umani, sostiene Elisa Morgera. Tecnologie climatiche, mercati del carbonio, e progetti di energia rinnovabile su larga scala possono danneggiare la biodiversità, distruggere patrimoni culturali, e causare sfollamenti di popolazioni, replicando schemi di violazione vissuti dalle popolazioni indigene per generazioni.
Il Tribunale Internazionale ha sottolineato come la protezione della biodiversità marina possa contribuire alla mitigazione e all’adattamento climatico. Tuttavia, le misure come la geoingegneria potrebbero non essere conformi al diritto del mare, e i loro impatti negativi su ecosistemi e diritti umani ne rendono inaccettabile l’uso.
Il richiamo alle riparazioni
La questione delle riparazioni per i danni causati dal cambiamento climatico è sempre più presente nei dibattiti internazionali. I paesi del Sud del mondo, che hanno beneficiato meno della rivoluzione industriale, sono i più colpiti dal cambiamento climatico e, allo stesso tempo, ricevono scarso supporto per proteggere le proprie popolazioni e l’ambiente.
Gli esperti di diritti umani internazionali sostengono che gli Stati devono garantire il risarcimento per i danni subiti, ma anche evitare future violazioni dei diritti umani. Ciò richiede un’azione climatica che non solo rispetti l’ambiente, ma che sia co-sviluppata con le comunità in prima linea, rispettando i loro diritti e bisogni.
La giustizia transizionale come supporto alla trasformazione
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha proposto un processo di giustizia transizionale per affrontare le conseguenze delle violazioni climatiche. Questo processo potrebbe utilizzare strumenti basati sui diritti umani per comprendere le cause profonde del cambiamento climatico e le sue soluzioni, coinvolgendo le conoscenze indigene e le esperienze di chi è stato maggiormente colpito.
In questo modo, potremmo avvicinarci a una vera trasformazione, che ci permetta di costruire un futuro più equo e sostenibile, proteggendo i diritti umani e garantendo un esito diverso dagli errori passati.
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