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Sepoltura e cremazione inquinano troppo. In Italia manca una normativa

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Sepoltura e cremazione inquinano troppo. In Italia manca una normativa

A quanto pare, l’essere umano è l’unico animale che riesce ad inquinare anche da morto. O almeno lo dicono i dati più recenti, secondo cui nessuno dei metodi tradizionali per il riposo eterno è davvero sostenibile per il nostro Pianeta. L’imbalsamazione rallenta la decomposizione del corpo, ma dopo la sepoltura rilascia le sostanze chimiche nel terreno; la costruzione di bare consuma legno, metallo e quella delle lapidi troppo cemento; la cremazione, infine, genera milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno.

La sepoltura

Secondo la Federazione europea dei servizi funerari un cimitero a inumazione rilascia nel terreno le stesse sostanze tossiche di una discarica urbana. Dopo la sepoltura formaldeide, sostanze della decomposizione e materiali delle bare consumate da queste ultime, finiscono tutte nel terreno rendendolo contaminato per la vegetazione.

Le stesse bare, costruite in tavole di legno massiccio, necessitano l’abbattimento di molti alberi a fusto alto per la loro produzione. Secondo le stime, circa 0,175 mc (90 kg) di legni diversi per bara. Le quali, per altro, vengono bruciate 2 o 3 giorni dopo se il defunto sceglie la cremazione.

La cremazione

In Italia la cremazione è diventata una scelta più diffusa a partire dal 2016, quando la Chiesa ha confermato che, sebbene sia raccomandata la sepoltura che “facilita il ritorno al corpo”, la cremazione non è un rito contrario alla religione cattolica. Da allora le agenzie funebri hanno cominciato a dotarsi di forni crematoi, molto spesso situati in aree urbane. Dopo meno di 10 anni quella che era stata considerata una procedura “salva-spazio” e più sostenibile, sta mostrando i suoi risvolti ben poco ecologici.

Nel gennaio 2022 il Consiglio di Stato aveva definito quella della cremazione “un’industria insalubre di prima classe“, durante un procedimento che vedeva il Comune di Civitavecchia contro un’azienda privata che voleva aumentare il numero di cremazioni annuali. In pratica paragonandone i danni a quelli prodotti da un inceneritore di rifiuti.

L’assenza di normative

Come conferma anche l’ISDE (International Society of Doctors for the Environment), in un position paper di gennaio 2024, in un Paese dove ogni anno oltre 250 mila persone scelgono la cremazione non si può proseguire in assenza di una normativa nazionale che ne regoli anche le emissioni. Emissioni che vengono invece tenute sotto controllo, o almeno misurate, quando si parla di inceneritori di rifiuti.



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Risale al 2001 l’ultima misura presa sul tema: la legge 130 “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri”. Quest’ultima prevedeva un provvedimento ministeriale poi mai arrivato che avrebbe dovuto definire le norme tecniche per gli impianti, i limiti di emissioni e i materiali da usare per le bare contenitive. Ma non se n’è fatto nulla.

L’inquinamento da cremazione

Ad oggi in Italia ci sono 87 forni crematori attivi, diffusi maggiormente al Centro e al Nord. Funzionano con un procedimento di incenerimento ad altissime temperature, il che genera un impatto ambientale non trascurabile. Un corpo umano cremato in media produce in media 240 kg di anidride carbonica (National Geographic, 2016). Monossido di carbonio, acido cloridrico, mercurio, ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili, metalli pesanti, diossine, policlorobifenili e particolato sono le altre principali sostanze rilasciate, secondo l’ISDE.

Gli agenti inquinanti si diffondono poi nell’aria e “viaggiano per lunghe distanze e nel corso del tempo si depositano al suolo, accumulandosi in questa matrice e causando un’alterazione dell’equilibrio chimico-fisico e biologico del terreno“. Le sostanze poi – aggiungono gli autori del position paper – “non sono facilmente biodegradabili e possono determinare contaminazione di un terreno per periodi variabili, con possibile passaggio degli inquinanti nelle falde acquifere e nella catena alimentare.” 

Alternative funerarie green

La cremazione ad acqua

L’ISDE ricorda comunque l’esistenza di alternative che in altri Stati sono già utilizzate e legalizzate, mentre in Italia si resta ancora immobili. Tra queste la cremazione ad acqua (o idrolisi alcalina) che produce lo stesso risultato di quella classica ma con un impatto ambientale sensibilmente minore. Si tratta di un metodo tradizionale hawaiano, in cui veniva usata acqua vulcanica scaldata per decomporre i corpi dei defunti in 4/6 ore e le ossa rimanenti venivano semplicemente interrate o conservate in un’urna dopo essere state tritate.

L’unico rifiuto emesso in questo caso è un’acqua sterile e non tossica (circa 1000 litri) che può essere riciclata nella rete idrica, nessun rilascio arriva nell’aria o nel terreno. Tuttavia, c’è comunque un consumo energetico per riscaldare l’acqua e far funzionare la pompa, che secondo uno studio olandese sarebbe comunque solo il 10% di quello usato per la cremazione tradizionale. Inoltre, il procedimento sembra essere meno economico e per questo meno invitante per le agenzie funebri.

Il compostaggio umano

Quella del compostaggio umano è una pratica che trasforma i resti corporei in terriccio, tramite un processo altamente controllato. Il corpo viene inserito in un contenitore sigillato e avvolto da una miscela di materiali naturali come trucioli e paglia. L’attività microbica scalda il contenitore e comincia la decomposizione, delle ventole aspirano l’ossigeno che viene poi ruotato per riattivare i microbi.

Il processo di conclude dopo 30-50 giorni, poi vengono estratte le ossa, tritate e inserire nel mix di materiali. Dopo qualche altra settimana i microbi finiscono il loro lavoro e il risultato alla fine solo 0,7 metri cubi di compost che la famiglia può usare o donare.

Anche il compostaggio ha un costo in termini di spazi, trasporti e tecnologie. Al momento è legale in 6 stati americani (tra cui New York dal 2023), e viene incoraggiato come metodo per tornare “alla terra” in maniera totale. Alcune famiglie hanno poi usato il compost per creare un giardino dedicato al defunto o per alimentare la crescita di un nuovo albero.


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