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Moda senza sprechi, futuro senza rifiuti. Appello del Wwf in vista dello “Zero Waste Day”

Zero Waste Day

Moda senza sprechi, futuro senza rifiuti. Appello del Wwf in vista dello “Zero Waste Day”

Si stima che nel mondo meno dell’1% di tutti i tessuti venga riciclato: sostanze tossiche come i PFAS e le microplastiche, disperse nell’ambiente, avvelenano i nostri ecosistemi e minacciano la nostra salute

Siamo circondati da vestiti, ma a che prezzo? Dietro ogni acquisto c’è un costo ambientale enorme: pesticidi, inquinamento delle acque, microplastiche negli oceani e discariche a cielo aperto sempre più piene. In occasione dello Zero Waste Day di domenica 30 marzo, il WWF Italia, con la sua campagna Our Future, accende i riflettori su uno dei problemi più ingombranti e sottovalutati del nostro tempo: i rifiuti tessili.

Milioni di tonnellate di vestiti in discarica

Ogni anno, milioni di tonnellate di vestiti finiscono in discarica o vengono incenerite, sprecando risorse preziose e inquinando il pianeta. Ogni anno solo l’Europa produce ben 7 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Ognuno di noi butta mediamente 16 kg di prodotti tessili ogni anno di cui solo 4 kg sono raccolti separatamente- Quasi 12 invece sono finiti nei rifiuti indifferenziati , generando un impatto devastante sull’ambiente.

L’inquinamento provocato da questa industria non è solo un problema di quantità, ma di qualità con la dispersione nell’ambiente di sostanze tossiche come i PFAS, composti chimici di sintesi (quindi non presenti in natura), utilizzati in numerosi settori industriali e di consumo per le loro proprietà idrorepellenti e antimacchia, e le microplastiche che avvelenano i nostri ecosistemi e minacciano la nostra salute.

Gli inquinanti eterni che provengono dai nostri armadi

Anche nei prodotti tessili tra cui abbigliamento, tappeti e altri articoli per la casa sono ampiamente utilizzati gli ormai tristemente noti PFAS, per impermeabilizzazione, protezione da oli, sporco e calore e maggiore durata, tanto che il settore tessile rappresenta una delle principali fonti di inquinamento da PFAS in Europa.

Circa il 35% della domanda globale di PFAS è destinato ai tessuti, dato analogo vale per la sola UE. I PFAS possono venire rilasciati durante tutto il ciclo di vita di un capo, anche quando i tessuti vengono lavati, contaminando l’acqua potabile, gli ambienti interni e gli ecosistemi e mettendo a rischio tanto la fauna selvatica quanto la salute degli esseri umani. I PFAS sono definiti inquinanti eterni (forever chemicals): una volta immessi in ambiente, non vengono degradati se non su scala temporale estremamente lunga, dando luogo a un’esposizione e accumulo negli organismi praticamente irreversibili.

I rischi per la salute umana: gli scarti cancerogeni

È dimostrato che l’esposizione a lungo termine ai PFAS indebolisca il sistema immunitario e sia associata ad alterazioni del sistema endocrino. Recentemente il PFOA è stato classificato come «cancerogeno per l’uomo» (Gruppo 1) e il PFOS come «possibile cancerogeno per l’uomo» (Gruppo 2B). Entrambe queste sostanze sono state messe al bando in UE (PFOS dal 2008, PFOA dal 2020), ma potrebbero essere presenti nei tessuti ancora in uso che sono stati venduti prima dell’entrata in vigore delle restrizioni.

Cosa arriva dall’Asia

Inoltre, una gran parte dei tessuti consumati in Europa viene importata da Paesi asiatici che spesso applicano una normativa meno restrittiva sulle sostanze chimiche rispetto ai produttori europei. Ciò significa che ci sono pochissime informazioni sul contenuto di PFAS nei tessuti importati. La maggior parte dei tessuti usati e raccolti nell’UE, compresi quelli contenenti PFAS, è poi esportato in Africa e Asia dove vengono smaltiti o bruciati nell’ambiente locale con il pericolo di rilascio di queste sostanze. Oggi è credenza diffusa, anche tra i policymaker, che i PFAS siano insostituibili. Anche Mario Draghi nel suo rapporto intitolato “Il futuro della competitività europea” ha detto che non c’è alternativa all’utilizzo di queste sostanze.

“In realtà esiste l’opportunità di ridurre significativamente l’utilizzo e il rischio dei PFAS in Europa, interrompendone l’uso non essenziale poiché esistono le alternative. La presenza di PFAS nei tessili ha peraltro un impatto sulla possibilità di utilizzare, riutilizzare e riciclare alcuni prodotti tessili. Ridurre l’uso dei PFAS nell’abbigliamento e in altri prodotti tessili è quindi fondamentale se vogliamo aumentare la riciclabilità e la transizione verso un’economia più circolare, riducendo i rifiuti che produciamo”, spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità WWF Italia.

Rifiuti che inquinano, risorse da recuperare


Nel corso degli anni, l’industria tessile ha generato un aumento significativo dell’inquinamento da microfibre. Si tratta di una minaccia invisibile, ma pervasiva per l’ambiente e la salute umana. Per esempio, ogni lavaggio di capi sintetici rilascia milioni di microplastiche che finiscono nei fiumi, nei mari e nel nostro organismo. Studi recenti hanno rilevato la presenza di queste particelle ovunque nel corpo umano: nei polmoni, nel sangue e nelle placche aterosclerotiche delle pareti arteriose, nel latte materno e persino nel cervello. Ma non siamo gli unici a esserne contaminati: tutti gli ecosistemi del Pianeta sono ormai contaminati da microplastiche, dalle profondità oceaniche alle vette delle montagne, dalle città alle zone più remote e isolate.

Il Mar Mediterraneo è tra le aree più inquinate al mondo da microfibre tessili, con concentrazioni che minacciano la fauna marina e la biodiversità. L’accumulo di queste particelle solleva gravi preoccupazioni per la salute e l’equilibrio degli ecosistemi, poiché possono trasportare sia le sostanze tossiche in esse contenute sia quelle “acquisite” dall’ambiente in grado di bioaccumularsi lungo la rete trofica, causando danni al sistema endocrino, riproduttivo e immunitario o agendo come cancerogeni per la gran parte degli esseri viventi.

Non più rifiuti, ma risorse: le tre proposte del Wwf Italia


Il WWF Italia propone una visione innovativa: trasformare i rifiuti tessili in risorse, attraverso un modello di economia circolare che riduca drasticamente l’impatto ambientale e crei un futuro più sostenibile. In un’epoca in cui siamo circondati da vestiti, scarpe e accessori che non solo consumano risorse, ma producono enormi quantità di scarti, la soluzione sta nel ripensare il nostro approccio alla moda, seguendo tre semplici passi:

1.Ridurre e Riparare

Acquistare meno e, quando lo facciamo, chiederci se quel capo nuovo ci serve davvero. Prendersi cura dei propri vestiti poi, lavandoli meno frequentemente e riparandoli, può far prolungare la loro vita, evitando così che diventino rifiuti prematuri. Negli ultimi 15 anni, si è ridotto del 36% il tempo di utilizzo di un vestito, un dato che dimostra l’urgenza di un cambiamento nelle abitudini di consumo.


2.Riutilizzare e Riciclare

Acquistare abiti di seconda mano è un atto che prolunga la vita dei capi e riduce il bisogno di nuove risorse. In più, il WWF incoraggia l’adozione di pratiche di “upcycling” e riciclo dei tessili, trasformando i vecchi vestiti in nuovi materiali attraverso processi più ecologici e innovativi. Si stima che nel mondo meno dell’1% di tutti i tessuti venga riciclato, una cifra drammaticamente bassa che evidenzia la necessità di azioni più incisive.

“In Italia, dal gennaio 2022, è obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, ma il passo successivo è garantire che questi materiali vengano realmente trasformati in nuove risorse attraverso impianti di riciclo efficienti” sottolinea Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia.

“Serve incentivare il riuso e il riciclo con agevolazioni fiscali per le aziende che investono in modelli di economia circolare ed è necessario un obbligo normativo più stringente su eco-design e durabilità, per garantire capi più longevi e facilmente riciclabili, e il divieto di distruzione degli invenduti, incentivando il riutilizzo”.

3.Investire in una produzione sostenibile

La produzione di una t-shirt di cotone, per fare un esempio, richiede ben 2.700 litri di acqua, una quantità enorme per un singolo capo. Inoltre, il cotone è la coltura agricola non alimentare che usa più pesticidi al mondo. L’industria tessile deve abbandonare i modelli lineari e adattarsi ad un sistema basato sulla circolarità. Lo deve fare, investendo in tessuti durevoli, realizzati con materiali ecologici e progettati per essere facilmente riparati e riciclati, puntando a ridurre l’uso di coloranti tossici e migliorando le tecnologie di trattamento delle acque reflue, per evitare che le fasi di produzione inquinino le nostre risorse naturali.

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